domenica 30 settembre 2012

Ordine dei Giornalisti:Fate il vostro gioco! Scommettete!

Non aggiornavo questo blog da oltre un mese, e nel frattempo sono successe molte cose: il caso dei plagi e delle invenzioni del corrispondente di Repubblica a Pechino Giampaolo Visetti è stato ripreso sul blog di Mazzetta, sul blog di Mantellinisul Foglio, sul Post.it , su Libero, ben due volte sull'Unità, e su numerosi altri media.


Un vero e proprio fuoco di fila, che però non ha affatto scomposto Repubblica: evidentemente il direttore Ezio Mauro non ritiene di dover rispondere ai lettori della qualità dell’informazione stampata sul suo giornale, anche quando quest’informazione è infarcita di balle e copie del lavoro altrui. 


Mentre ormai persino i cinesi ridono dietro al “lavoro” di Giampaolo Visetti (e invece suppongo che i giapponesi non abbiano proprio nulla da ridere in merito), a Largo Fochetti continuano a promuovere seriose campagne anticorruzione ignorando deliberatamente una semplice verità: puoi anche interpretare il paladino e metterti l'elmo di Re Artù, ma se prima non sei capace di fare un po' di pulizia a casa tua, allora sembri solo Pulcinella. 

Sul silenzio di Rep e di Ezio Mauro, pazienza: sono calabrese, so riconoscere l’omertà se ci sbatto contro, anche quando si manifesta nelle alte sfere del più importante quotidiano d'opinione d'Italia invece che nelle strade di qualche paese della Locride.


Ma in tutta questa storia, oltre a Giampaolo Visetti e alle direzioni che promuovono campagne per farci sentire più buoni e più giusti, rischia di esserci un altro impostore, forse ancora più importante degli altri: l’Ordine dei Giornalisti (sì, tuttomaiuscolo).



Venerdì 21 settembre, di ritorno dall’Asia, ho presentato presso l’Ordine dei Giornalisti di Milano un esposto per plagio a carico di Giampaolo Visetti. Si tratta quasi di un esercizio teologico, di quelli che tanto piacevano ai monaci medievali: intendo provare a dimostrare non dico l’efficacia, ma quantomeno l’esistenza di un’istituzione evanescente, della quale non riesco a capire la funzione, e che mi piacerebbe vedere abolita.




 Carta straccia o buono caffé?


Perché delle due, l’una: o l’Ordine dei Giornalisti serve anche a proteggere il lavoro dei suoi iscritti e a difendere la deontologia di un mestiere ormai privo di credibilità; oppure i 100 euri che io e tantissimi altri giornalisti privi di un vero contratto versiamo annualmente non servono a nulla, e potrei risparmiarli per spenderli altrove.

So che l’iter è lungo. Milano dovrà trasmettere l’esposto alla sede di Roma, e poi si dovrebbe aprire un’inchiesta per stabilire quanto accaduto. Però voglio dare una chance a un’istituzione nella quale non ripongo alcuna fiducia: signori colleghi che occupate qualche ruolo all’interno dell’Ordine, stupiteci. Dimostrate che per ottenere una prova della vostra esistenza non è necessario né un mero esercizio di fede, né rivolgersi a qualche medium capace di evocare gli ectoplasmi, e aprite questa benedetta inchiesta. Poi, vedremo quale sarà il risultato.

Non ho la tempra del monaco medievale, ho molti vizi terreni, e dopo un po’ di lavori sul campo in tema temo che mi sia rimasto attaccato anche quello del gioco d’azzardo, quindi voglio scommettere sull’esito di questa vicenda. Io sono convinto che l’Ordine dei Giornalisti non aprirà alcuna indagine a carico di Repubblica. Se mi sbaglio, offrirò un caffè a chiunque si presenti con uno stampato della copia del mio esposto. Potete persino inviarmelo via mail, e poi ci vediamo al bar. Ma se ho ragione, credo che l’unico premio che mi spetta - insieme a chi scommette con me- sarà la possibilità di farsi un’altra risata, dopo gli sghignazzi e i frizzi e i lazzi già destinati a Largo Fochetti. E ci sono poche cose migliori del ridere alle spalle di chi si dimostra completamente privo di senso dell’umorismo.

Per quanto mi riguarda, questo è l’ultimo post che dedico all’affaire Visetti finché non ci saranno notizie sull’esposto.

Tra qualche settimana Engagez Vous si trasformerà in qualcosa di nuovo.

Saluti.
 


 

domenica 26 agosto 2012

Visetti in China: Magical Mystery Tour


Dunque, dove eravamo rimasti?

Ah, sì: nelle scorse settimane ho dimostrato i plagi del corrispondente di Repubblica a Pechino Giampaolo Visetti.

Si tratta di prove inattaccabili, a meno di non considerare valida l’ipotesi dei viaggi nel tempo: basta leggere qui ascoltando in sottofondo questo file:

 

e poi ripetere l’operazione con questo articolo e questo file audio:




per rendersi conto che nelle sue corrispondenze su RSera datate rispettivamente 19 gennaio e 15 marzo Giampaolo Visetti si è limitato a leggere i miei articoli senza cambiare neanche una parola e senza citare la fonte originale, esagerando giusto  un po’ i dati e le fonti, tanto per rendere più sensazionali le vicende raccontate.

Ora, ammetto che l’idea di Visetti che raggiunge le 88 miglia orarie a bordo di una De Lorean e si ritrova nel 1955 è abbastanza divertente, ma il nostro ha dimostrato parecchie volte di non avere bisogno della macchina del tempo per catapultarsi in meravigliosi mondi paralleli.

Basta l’immaginazione.

Perché di una cosa si può essere sicuri: quando a Pechino la vita di ogni giorno diventa troppo prosaica e noiosa, il lettore di Repubblica può sempre contare su una corrispondenza di Giampaolo Visetti che lo proietterà in un Oriente misterioso e pieno di colpi di scena, tra tentativi di colpi di Stato, spie al servizio segreto di Sua Maestà ed enigmatici poliziotti cinesi. 

Pronti?

Allacciate le cinture, inizia il “Visetti in China Magical Mystery Tour”

Tappa 1: di gelsomini fantasma, di borracce rosse, e di tute nere

A un certo punto, per cause ignote, qualche fenomeno subatomico deve aver prodotto una lacerazione nel tessuto spazio-temporale.
La realtà si è spostata di alcuni gradi verso una bizzarra direzione tangente, generando una Pechino contigua a quella ordinaria, dove le cose vanno in maniera leggermente diversa rispetto alla capitale cinese così come la conosciamo.

Le chiavi di questa Pechino alternativa sono nelle mani di un uomo solo, Giampaolo Visetti, che ci guida attraverso vicoli densi d’insidie e grattacieli alla Blade Runner.

Qui, può succedere di tutto. Può capitare che la polizia cinese decida di arrestare un fiore, dopo gli appelli a emulare le “rivolte arabe dei gelsomini” che circolavano sul web cinese lo scorso anno:

Funzionari dei servizi segreti, ai primi di marzo, hanno girato vivai e mercati dei fiori di tutto il Paese per avvertire che il gelsomino doveva sparire dalla circolazione: non potendo arrestare o ‘rieducare’ un fiore, la Cina ha semplicemente deciso di abolirli. La carica persuasiva è stata tale che i gelsomini sono scomparsi davvero e il loro prezzo, al mercato nero dei villaggi di campagna, nello sconcerto generale è crollato. (…).Il fiore fuorilegge prima è marcito, in milioni di esemplari, quindi è stato sradicato da coltivazioni sterminate, infine giaceva come rifiuto di contrabbando nei centri all'ingrosso”

Nella Pechino parallela, la vita dei corrispondenti stranieri è complicata. Capita anche che le forze dell’ordine ti assegnino d’ufficio un poliziotto come assistente.

“Il funzionario dell'ufficio stranieri di Pechino è colto da una sete fastidiosa, mentre cerca di spiegare le nuove misure per la mia sicurezza. Il suo tavolo, nel seminterrato della caserma di quartiere, due piani sotto lo sportello che rilascia i permessi di soggiorno, è sgombro da qualsiasi oggetto di lavoro e invaso da bottiglie d'acqua lasciate a metà. Due agenti, ai suoi fianchi, sorridono e scrutano il muro. Un terzo aziona una telecamera e ci tiene a mostrare lo zelo con cui riprende le ‘lezioni di comportamento agli amici giornalisti occidentali’. (…). Entra nell'ufficio un uomo gonfio, in tuta da ginnastica nera, con gli occhi al pavimento e una borraccia rossa in mano. È lo stesso che domenica scorsa mi ha pedinato per tre ore a Wangfujing, che da giorni si addormenta ubriaco fuori di casa mia. ‘Per un po' di tempo - sorride il funzionario mentre mi congeda - sarà il suo assistente. Se ha problemi, si rivolga a lui’". 

E se poi una volta che lo hai fatto entrare nel tuo appartamento, il poliziotto in borghese con la tuta nera si addormenta ubriaco sul divano? E se ti lascia in casa la borraccia rossa? Tra l’altro, Visetti ci può condurre nel cuore dei segreti della Pechino alternativa, ma le misure di sicurezza della Repubblica Popolare Cinese gli impediscono di entrare in casa quando vuole:

“Non possiedo la chiave della mia casa di Pechino. Gentili sorveglianti, giorno e notte, aprono e chiudono l'ingresso della vecchia dimora cinese dove vivo e lavoro. Controllano tutto, per la mia sicurezza. Se voglio andare a dormire, o incontrare qualcuno, devo prima suonare il loro campanello. Nemmeno l'uscita secondaria dell'ufficio, attraverso telefono e computer, può essere usata liberamente. Le conversazioni sono registrate e una voce cinese spesso suggerisce cautele che non sono in grado di comprendere”.

Vivere nella Pechino contigua deve essere davvero una seccatura.
Io, ad esempio, possiedo le chiavi del mio appartamento pechinese, così come tutti gli stranieri che conosco, tra cui anche numerosi giornalisti che -come me- non si sono mai inoltrati negli insidiosi territori della Pechino parallela.

Ma purtroppo sono privo della chiave magica di Giampaolo Visetti, e quando lo scorso anno la polizia cinese mi ha convocato -come ha fatto con tutti gli altri corrispondenti-, mi hanno accolto in un banale ufficio che poteva essere definito “seminterrato” solo con una certa immaginazione. Soprattutto, alla fine del colloquio, non mi hanno presentato l’uomo incaricato di spiarmi, e questo è un vero peccato: sono sicuro che il poliziotto con la tuta nera e la borraccia rossa è un tipo simpatico, avrebbe avuto molte storie interessanti da raccontare, e una volta che me lo avessero imposto come nuovo assistente saremmo diventati amiconi. Ma forse l’addetto alla mia sicurezza non veste così casual.

Intendiamoci, nella Pechino ordinaria i corrispondenti stranieri sono effettivamente sottoposti a molti controlli, ma dato che la maggior parte di noi non ha alle spalle una formazione nell’antiterrorismo o nella Spectre, non siamo  in grado di capire quante volte al giorno i nostri volti vengano ripresi dalle innumerevoli telecamere della capitale, né di avere una certa dimestichezza con gli altri avanzati mezzi di sorveglianza cinesi. L’impressione è che la Pechino alternativa di Visetti sia più vicina a quella del 1965 che a quella del 2012, dove per identificare e seguire qualcuno bastano le celle telefoniche e le intercettazioni, e più che di spioni in tuta nera e borraccia rossa la polizia si serve d’ingegneri e addetti alle telecomunicazioni.

Inoltre, nella versione ordinaria della capitale cinese, non si è mai assistito alla caccia ai fiori scatenata dagli agenti segreti della Pechino parallela: nel periodo degli appelli web alla protesta i gelsomini si trovavano abbastanza facilmente, come riferiscono anche qui.

In definitiva, la versione di Pechino della realtà in cui vivo non riesce a produrre  quelle storie surreali e lievemente lisergiche che caratterizzano la Pechino alternativa di Visetti. Ho le chiavi di casa mia ma -non essendo stato risucchiato nel continuum spazio-temporale del corrispondente di Repubblica- nei miei articoli non posso raccontare queste mirabolanti vicende.

D’altronde, non sono mai stato neanche al binario 9 ¾ della stazione di King’s Cross per prendere il treno diretto a Hogwarts, né ho mai trovato la strada che porta a casa di Bilbo Baggins a Hobbiville, nella Contea.

E tutto questo mi rende incredibilmente triste.

Tappa 2: di colpi di Stato, di spie inglesi, e di fuggitivi ciechi

Ma quando nella Pechino ordinaria si verificano eventi fuori dal comune, l’asse della realtà della Pechino alternativa si sposta ancora di più, piombando in territori straordinari, sconosciuti. E dannatamente rischiosi.

Dal febbraio di quest’anno la Cina è intrappolata in due crisi parallele che stanno scuotendo le fondamenta del Partito. Da un lato, il caso di Bo Xilai, l’ex leader di Chongqing destituito per lo scandalo che ha colpito la moglie Gu Kailai, giudicata colpevole dell’assassinio dell’uomo d’affari britannico Neil Heywood, col quale intratteneva rapporti economici e –forse- una relazione sentimentale.

Dall’altro, l’incredibile fuga di Chen Guangcheng, un attivista politico cieco dall’infanzia, che riesce a scappare dagli arresti domiciliari, si rifugia presso l’Ambasciata Usa in Cina e –dopo un braccio di ferro diplomatico tra Pechino e Washington- ottiene finalmente il permesso di recarsi negli Stati Uniti.

Si tratta di due vicende enormi, con aspetti quasi epici, molto difficili da gestire per i giornalisti che si muovono nella Cina ordinaria e devono quantomeno provare a verificare quello che succede, tra i silenzi e i depistaggi del governo.

Ma nella Pechino alternativa…Beh...Può accadere veramente di tutto.

Prendiamo questo, ad esempio, tratto da Repubblica del 21 agosto: “L' ex segretario di Chongqing è scomparso da aprile, ma resta membro del Parlamento e del Politburo e contro di lui c' è solo l' inchiesta per «gravi violazioni disciplinari». Nel processo di Hefei contro la moglie, il suo nome non è mai comparso. (…) Influenti personalità cinesi, presto censurate, sollevano dubbi inquietanti sulla ricostruzione dei giudici, per i quali l' ex spia dei servizi di Sua Maestà sarebbe stata avvelenata una volta ubriaca di whisky”.   

Neil Heywood era una spia dei Servizi britannici? E’ una domanda sulla quale centinaia di giornalisti hanno sbattuto la testa per mesi, tra depistaggi, false ipotesi e smentite. Ma nel favoloso mondo di Giampaolo non c’è alcun dubbio: se qualche giornale straniero riporta la voce non confermata che per un periodo della sua vita Heywood ha fatto il rivenditore della Aston Martin e il consulente per la Hekluyt -una società fondata da ex membri dell’MI6- allora Heywood era sicuramente al Servizio Segreto di Sua Maestà.

D’altronde, decine di film ci hanno insegnato che James Bond va in giro col suo vero nome, e questo elemento dovrebbe chiudere definitivamente la questione. Forse qualche fonte della Pechino parallela una sera ha incontrato Neil Heywood al bar, e stava bevendo un martini agitato, non mescolato.

Tralasciamo anche l’altra lieve imprecisione contenuta nell’articolo, visto che -a differenza di quanto scrive Visetti- Bo Xilai- è stato effettivamente sospeso dal Politburo ad aprile. Quello che non si può davvero ignorare, invece, è il sensazionale scoop diffuso da Repubblica, secondo il quale Bo Xilai sarebbe sotto accusa nientemeno che per un tentativo di golpe


"Il suo presunto amante più famoso, Bo Xilai, è sotto accusa per aver tentato un colpo di Stato e aver cercato di uccidere il suo braccio destro, l'ex capo della polizia Wang Lijun, dopo che questi gli aveva confidato che la moglie Gu Kailai aveva avvelenato il suo amante, l'uomo d'affari inglese Neil Heywood".

Mentre nella Cina di tutti i giorni Bo Xilai è stato sospeso per "gravi violazioni disciplinari", e il Partito comunista cinese mantiene il più stretto riserbo sui contenuti dell'accusa, nella Pechino alternativa in cui vive Visetti le voci che circolano da mesi sono state formalizzate, sono realtà, e Bo Xilai era pronto a marciare su Piazza Tian An Men alla testa di una colonna di carri armati. 


Perché la Pechino parallela di Giampaolo Visetti è una megalopoli piena di minacce, dove dietro ogni angolo si nascondono intrighi alla Jason Bourne, come dimostrano gli avvenimenti delle convulse giornate dopo la rocambolesca fuga di Chen Guangcheng:

"Sembra che potrò partire, sono felice". La voce di Chen Guangcheng riemerge dal nulla in cui è stata confinata tra le mura dell'ospedale di Chaoyang, dopo che tre giorni fa il dissidente ha lasciato l'ambasciata Usa a Pechino. Al telefono cellulare, quando è sera inoltrata, riesce a pronunciare poche parole. La linea è disturbata e continua stranamente a cadere. (…) Pensa che ci sia qualcuno che ancora può fare qualcosa per lei? ‘Spero che il presidente Obama da domani non si giri dall'altra parte e che mi protegga. Ma ho fiducia anche nel premier Wen Jiabao: capisce il rischio di un partito che si allontana dai propri ideali. La mia salvezza resta appesa all'affetto e al sostegno delle persone buone di tutto il mondo’".

Nella tarda serata di cui riferisce Repubblica, il numero di cellulare fornito a Chen dall’Ambasciata americana era ormai diventato di dominio quasi pubblico tra i corrispondenti stranieri che si aggiravano attorno all’ospedale di Chaoyang –anche se stranamente Visetti non s’è visto-, ma dopo che nell’arco di un’ora Newsweek, CNN e altri due media stranieri riescono a ottenere la linea, il telefono risulterà irraggiungibile fino alla fine della vicenda, nonostante le decine e decine di chiamate.

Probabilmente nella Pechino parallela in cui vive Giampaolo Visetti si riesce sempre a telefonare ai quiz in tv, gli attivisti che temono per la loro vita si rivolgono direttamente al Presidente degli Stati Uniti infrangendo tutte le etichette e rischiando di aggravare una crisi diplomatica, e si indovina anche quanti fagioli ci sono nel contenitore di Raffaella Carrà al primo colpo. O forse, visto che ormai sono pappa e ciccia, il poliziotto con la tuta nera e la borraccia rossa ha fornito al corrispondente di Repubblica un numero supersegreto.

Per ora il nostro Magical Mystery Tour è finito. Ormai sapete cosa fare.

Chi vuole andare nel fantastico mondo di Narnia, si chiude in un armadio.

Per uscire da Matrix bisogna inghiottire la pillola rossa.

Se incontrate il Bianconiglio, seguitelo nella sua buca e arriverete nel Paese delle Meraviglie.

Ma se volete entrare nella Pechino parallela, questa favolosa metropoli intensa e seducente, dove le spie inglesi guidano sempre un’Aston Martin e agli stranieri vengono negate le chiavi di casa, è sufficiente un euro.

Basta comprare Repubblica.

Ancora qualche domanda a Repubblica

Sappiamo già cosa succede ai giornalisti americani sorpresi a copiare: Fareed Zakaria è stato sospeso per un mese da TIME e CNN, e al termine di un’inchiesta interna che ha accertato che si era trattato di un episodio isolato la stella del giornalismo Usa, uno degli opinionisti più influenti del mondo, è stato reintegrato.

Sembra però che non solo Giampaolo Visetti, ma tutta la redazione di Largo Fochetti, ormai, sia stata risucchiata in un altro continuum spazio-temporale, dove cose come le regole, la verifica delle fonti e dei fatti, un residuo briciolo di rispetto per i lettori e per il lavoro altrui, semplicemente, non esistono.

La rappresentazione della realtà si è mangiata la realtà.

Da quando è stato messo in piedi, tre settimane fa, questo blog ha ricevuto migliaia di contatti. Ho ricevuto anche diverse mail, tra cui lettere di gente che mi dice di rassegnarmi, perché tanto non prenderò mai il posto di Giampaolo Visetti. Cosa sicuramente vera, ma il punto, quello che mi sta a cuore davvero, è che spero di non piegarmi mai al metodo di lavoro impiegato da Visetti. Se scrivete lettere del genere, significa che cose come l’onestà intellettuale vi sono completamente incomprensibili, e mostrate lo stesso atteggiamento che avrebbe la mia tartaruga di terra davanti a un rebus della Settimana Enigmistica.

“Dietro” questo blog non c’è nessuno, ci sono solo io, con la mia faccia e la mia firma. E’vero che collaboro anche con testate come Panorama, collocate nello schieramento opposto rispetto a quello di Repubblica, ma francamente non me ne frega una mazza di niente: questo non è un attacco a Repubblica in quanto Repubblica; questo è un attacco a Repubblica per il comportamento tenuto in questi mesi, per il totale sprezzo delle regole, per la convinzione di essere sempre e comunque nel giusto, per l’arroganza nel denunciare gli errori degli altri e l’ostinata omertà nel nascondere i propri.  

Chi compra Repubblica ha il diritto a leggere corrispondenze precise e accurate, e non articoli in cui il sindaco di una città giapponese si trasforma magicamente in un tecnico-eroe.

Chi deve vigilare sull’operato del corrispondente di Repubblica in Asia è colpevole di gravi mancanze.

Scrivete a Ezio Mauro, cercatelo sui social network, chiedete le stesse misure applicate negli Usa a Fareed Zakaria.

E’ legittimo ambire alla serietà.


domenica 19 agosto 2012

I bulletti di Largo Fochetti


E così Fareed Zakaria, sospeso per plagio da CNN e TIME, tornerà al lavoro tra la fine di agosto e i primi di settembre: le due testate hanno condotto un’inchiesta interna accertando che la copia integrale di dieci righe da un articolo del New Yorker era “un fatto isolato”. Dopo l’ammissione di colpa e le scuse della star del giornalismo americano -e dopo la giusta sanzione applicata dalle testate per cui lavora- si può riguadagnare la fiducia di lettori e spettatori.

Un capolavoro di trasparenza: un comportamento che non potrebbe essere più distante da quello che sta mantenendo Repubblica relativamente al caso di Giampaolo Visetti, corrispondente da Pechino.

Nel post precedente, qui, trovate un resoconto dei plagi di Visetti e anche i link ad alcune pagine che testimoniano i falsi di cui si è macchiato nelle corrispondenze durante il terremoto in Giappone nel 2011.

Ma il lavoro del corrispondente di Repubblica a Pechino non è caratterizzato solo dai due furti documentati sopra e dai bidoni fabbricati ad arte dopo la tragedia di Fukushima, vicende già da sole sufficienti a garantire a Visetti qualcosa di ben più incisivo della “cura Zakaria”.

Di seguito proverò a raccontare altre imprecisioni, inesattezze ed esagerazioni.

Si tratta di un esercizio di fiducia, perché –a differenza degli articoli rubati, come documentato sopra- non ho prove concrete per dimostrare quello che scrivo: solo la mia memoria, un po’ di buonsenso e alcuni articoli apparsi sulla stampa estera.

Deciderà il lettore se fidarsi di me o di Giampaolo Visetti. Dopo questa rassegna, porrò nuove domande alla direzione di Repubblica.

La grande truffa delle sedie vuote

Alla fine del 2010, mentre a Oslo si sta per celebrare la cerimonia della consegna del Premio Nobel per la Pace, i comunicati governativi e la stampa ufficiale di Pechino sparano cannonate contro la Norvegia: l’onorificenza va a Liu Xiaobo, dissidente cinese, condannato a 14 anni di carcere con l’accusa di “incitazione alla sovversione dello Stato”. Per il governo cinese Liu è un criminale, al quale non verrà concesso alcun permesso per ritirare il premio.

Ecco il link al pezzo di Visetti del 12 dicembre 2010. L’articolo è incentrato sulla “rivolta delle sedie vuote”, una manifestazione di protesta che i cinesi avrebbero inscenato per solidarietà a Liu. Eccone un brano: 

Centinaia di sedie vuote, vecchie, rotte e davvero quasi tutte unte come quelle che si offrono in cella, sono apparse da ieri notte fuori dalle case, allineate lungo le strade come un esercito silenzioso e disarmato. Dopo qualche ora di stupore anche la polizia ha compreso di sfilare davanti alle sedie vuote di un dissenso cinese che credeva defunto, costretto a nascondersi come un sorcio zoppo, o chiuso in gabbia. Lńesposizione prodigiosa era ispirata dalla sedia vuota che venerdì ha ritirato il Nobel inconsegnabile di Oslo”.  

Visetti prosegue raccontando come a Pechino, Shanghai, Hong Kong, Guangzhou e Shenzhen, la polizia avrebbe proceduto ad “arrestare le sedie vuote”.

Peccato che nulla di tutto ciò sia MAI accaduto.

Visetti ha trasformato una protesta virtuale – le immagini di sedie vuote postate sui microblog cinesi da qualche centinaio di simpatizzanti di Liu- in una protesta di massa, con i cittadini che espongono fisicamente le sedie vuote fuori dalle loro case, scatenando una reazione ridicola e paranoica da parte delle forze dell’ordine.

Il cinese medio non ha idea di chi sia Liu Xiaobo: la censura ha colpito la sua figura in maniera così precisa e capillare da renderlo una non-persona, e se provate a dire a un cinese di media istruzione che nel 2010 la Cina ha vinto un premio Nobel, questi si mostrerà lieto, non sapendo che l’onorificenza è stata un vero e proprio schiaffo in faccia al governo.

Uno schiaffo forte, come quello che riceve la credibilità di Repubblica dopo la pubblicazione di questo articolo.


Lo strano caso del Dr Udagawa e Mr. Bo

Nella primavera di quest’anno Pechino trema sotto i colpi dello scandalo Bo Xilai, un intrigo iniziato alla fine di febbraio con la fuga di un superpoliziotto all’interno di un consolato americano, e culminata nell’accusa di omicidio a carico di Gu Kailai, moglie dell’ex stella nascente del Partito comunista cinese Bo Xilai.

Tra i numerosi articoli dedicati all’argomento, Visetti scrive questo.
Tralascio il fatto che Visetti attribuisca a Bo la carica di ex sindaco di Chongqing, quando in realtà si tratta dell’ex segretario del Partito, carica differente e molto più importante: mica si può chiedere la precisione su questi particolari,vero?

In questo articolo Visetti si ricorda di citare la fonte: si tratta di Keisuke Udagawa, commentatore politico giapponese, che avrebbe incontrato Bo in un ristorante di Pechino, e al quale l’uomo politico –già sospeso da tutte le cariche che occupava “per gravi irregolarità disciplinari- affida una confessione politica, sostenendo di essere stato incastrato per le sue campagne anticrimine e di nutrire il rimpianto di non aver divorziato dalla moglie, utilizzata dai suoi avversari per rovinarlo.

Dato che Bo è scomparso dalla circolazione da mesi si tratta di un vero scoop, pubblicato solamente dal quotidiano nipponico Yukan Fuji, e non citare la fonte sarebbe sconveniente, anche per chi lo fa abitualmente.

Ma Giampaolo Visetti è l’unico che riprende la notizia senza dubitarne neanche un pochino: in altre parole, il corrispondente a Pechino di uno dei più importanti quotidiani italiani, che racconta la Cina pubblicando libri per la casa editrice Feltrinelli, crede fermamente che le autorità cinesi abbiano consentito a un alto funzionario sospeso e sottoposto agli arresti, protagonista del più clamoroso scandalo politico degli ultimi venti anni, di incontrare un giornalista giapponese –potenza tradizionalmente amica della Cina, com’è noto- permettendogli anche di lavare in pubblico i panni sporchi del regime, in cambio di imprecisati scambi di informazioni tra servizi segreti non meglio identificati.

Vorrei ricordare che la Cina è lo stesso Paese nel quale non è mai stata fatta chiarezza sull’affaire Lin Biao, l’ex avversario politico di Mao, che forse –o forse no- è morto in un misterioso incidente aereo. E questa è una vicenda avvenuta nel 1971, oltre quarant’anni fa.

Lo scoop del quotidiano giapponese viene messo in dubbio da media autorevoli come Telegraph e Foreign Policy, ma per Repubblica va tutto bene: i leader sottoposti a purghe, in Cina, li incontri tranquillamente al bar. E tra un bicchiere e l’altro ti parlano della loro vita privata.

Un ultimo inciso: nello stesso articolo, Visetti sostiene che Zhou Yongkang, a capo degli apparati di sicurezza, sia stato “destituito silenziosamente” per la vicinanza a Bo Xilai. Un’altra lieve imprecisione, visto che Zhou occupa ancora ufficialmente il suo ruolo e nessuno –tranne forse non più di 200 funzionari in tutta la Cina- sia in grado di stimare con certezza il suo attuale peso politico.

Ma le potenti fonti di Repubblica, lo abbiamo visto, arrivano dove nessun altro oserebbe spingersi.

Repubblica: ora di chiedere scusa?

Potrei riferire di altre gigantesche esagerazioni di Visetti, novello Barone di Munchausen in Oriente, ma questo post è già troppo lungo. Ne scriverò uno successivo, magari a partire dall’”Uomo con la tuta nera e la borraccia rossa”, un poliziotto che secondo Visetti lo avrebbe seguito per settimane, e che a Pechino è diventato una specie di barzelletta nel giro dei corrispondenti, anche stranieri.

Adesso voglio rivolgere altre domande alla direzione di Repubblica: queste pagine, in poco più di una settimana, hanno ricevuto oltre 1000 visite, e su Twitter in molti hanno esplicitamente chiesto a Ezio Mauro e a Repubblica di rispondere dei plagi e delle balle pubblicate dal corrispondente a Pechino.

Ma Ezio Mauro tace, come se la vicenda non minasse gravemente la credibilità di un importante quotidiano: evidentemente dalle parti di Largo Fochetti sono in preda a una grave forma di “Sindrome di Fonzie”, il morbo che ti fa emettere solo borbotti incomprensibili nel momento in cui dovresti semplicemente dire “ho sbagliato”.

Ribadisco: Zakaria, stella del giornalismo americano, sospeso per un mese per un plagio di 10 righe. Visetti, tranquillamente al lavoro dopo il furto di almeno due articoli e una quantità imprecisata di inesattezze e storie esagerate ad arte.

Repubblica sta facendo una pessima figura: nel cortile dei media italiani, somiglia sempre di più al ragazzino grosso e viziato che ti ruba il pallone, sicuro di farla franca perché viene da una famiglia importante. Ma i bulli di Largo Fochetti non si accontentano del furto: appena girato l’angolo si ripuliscono della polvere della baruffa e continuano ad apparire pensosi, riflessivi, inattaccabili nella loro pretesa superiorità morale e deontologica.

Ecco allora l’invito a chi leggerà queste righe: fate sentire la vostra voce. 
Fate circolare queste pagine. 
Chiedete ad Ezio Mauro e a Repubblica di esprimersi sulle gravi scorrettezze commesse dal suo giornalista. 
Se siete lettori di Repubblica, allora probabilmente avete a cuore una certa idea di giornalismo, e avete quindi il diritto di acquistare un giornale onesto, che non si renda complice di questi furti e che non protegga i suoi errori con l'omertà.

Repubblica vi deve una risposta.

Quella che deve a me, in quanto vittima di plagio, la potrà fornire a settembre attraverso l’Ordine dei Giornalisti, dopo che avrò terminato un esposto.

sabato 11 agosto 2012

L'affaire Zakaria, il caso Visetti

Cosa succederebbe in Italia a un giornalista pescato a copiare com’è successo a Fareed Zakaria? Me lo sono chiesto più volte nelle ultime ore, soprattutto in merito a una vicenda personale che va avanti da mesi.


Il Caso Fareed Zakaria

Riassumo velocemente il caso (l’ottimo Alessandro Aresu ne fornisce una versione più approfondita qui): Zakaria, stella del giornalismo internazionale che conduce un programma su CNN e occupa il ruolo di editor-at-large per TIME, è stato sospeso da entrambe le testate per plagio. In un commento per l’edizione del 20 agosto di TIME sul tema del controllo sulla vendita di armi negli Usa, il giornalista ha copiato quasi integralmente un pezzo della storica Jill Lepore pubblicato sul New Yorker. Andate a confrontare nel pezzo di Aresu su “Lo Spazio della Politica”: si tratta di neanche dieci righe, che tuttavia sono state sufficienti per montare un caso, e a nulla sono valse le scuse rivolte da Zakaria a Lepore e ai lettori. Negli Usa le fonti si citano, punto e basta, e chi si rende colpevole di un plagio –fosse anche una grande firma- poi deve subirne le conseguenze.


L’affaire Visetti

Perdonatemi se nel riassumere la faccenda personale sarò costretto a scadere nel provincialismo più becero: qui non parliamo di Zakaria e del New Yorker, ma penso che questa vicenda possa servire a interrogarsi sulla direzione intrapresa da  giornalismo italiano, sulla sua perdita di autorevolezza, e su tutte quelle altre faccende che chi lavora nei media ben conosce, ma che dovrebbero riguardare da vicino anche chiunque ci tiene all’informazione.



Il 17 gennaio scorso scrivo per AgiChina24.it –il portale di informazione di AGI sulla Cina per il quale lavoro da Pechino- un articolo sull’aumento dei crimini dei colletti bianchi che trovate qui. La notizia dell’aumento di questi reati è stata pubblicata sul Legal Daily, un quotidiano cinese. 

Il 19 gennaio mattina, come ogni giorno, faccio la mia consueta rassegna stampa, tra cui rientra anche la versione per iPad di Repubblica, RSera, un prodotto multimediale del quotidiano di Largo Fochetti che diffonde anche contenuti audio a cura dei corrispondenti di Repubblica in giro per il mondo. Scopro contento che la notizia ha attirato l’attenzione del corrispondente di Rep, Giampaolo Visetti, ma quando inizio ad ascoltare l’audio la contentezza per essere stato ripreso da un grande quotidiano si trasforma prima in stupore, poi in rabbia: Visetti sta leggendo integralmente il mio articolo senza citare la fonte, limitandosi ad esagerare le statistiche per fornire un quadro più allarmante del fenomeno e a trasformare una fonte, un avvocato cinese, nel procuratore capo di Pechino, suppongo per rendere più sensazionale l’accaduto. Potete ascoltare qui la corrispondenza di Giampaolo Visetti, visto che il link su RSera non è più raggiungibile. 




Chiamo la mia redazione per informarmi se il pezzo sia stato passato sulla rete: se così fosse, Visetti avrebbe tutto il diritto di riprenderlo integralmente, ma l’articolo è stato pubblicato esclusivamente sul portale, e reca in coda una scritta molto visibile di “Riproduzione Riservata”.

Il plagio si ripete qualche mese dopo: il 13 marzo realizzo un articolo sul riciclaggio di capitali sporchi a Macao, basandomi sul sito CasinoLeaks. Trovate il pezzo qui, e vi invito a leggerlo mettendo in sottofondo questo audio: 






ossia la corrispondenza per RSera firmata da Giampaolo Visetti il 15 marzo: è identica, il corrispondente di Repubblica da Pechino ha copiato di nuovo, senza citare la fonte.

“Oops, I did it again”, avrebbe detto Britney Spears. 

Decido di affrontare la questione, scrivo un’educata mail al collega, lamentando che ancora una volta la fonte originale non è stata citata: Visetti ammette candidamente di avere ripreso i pezzi di AgiChina24.it almeno un’altra volta, e risponde che lui aveva inserito il riferimento ma purtroppo “i tecnici audio di Rep lo hanno tagliato”. Chiedo di citare la fonte ex post, soprattutto per difendere il mio lavoro e quello degli altri collaboratori di AgiChina24.it, gente che spesso chiude alle undici di sera, priva dei mezzi garantiti a un grande quotidiano come Repubblica, ma non ottengo alcuna risposta.

Questa non è solo una faccenda personale: qui e qui troverete un resoconto del lavoro di Giampaolo Visetti in Giappone, dove è stato accusato dalla comunità italiana di aver realizzato articoli a dir poco imprecisi sulla tragedia del terremoto dello scorso anno, trasformando ad esempio il sindaco di una cittadina colpita dal sisma in un eroico operaio, disposto a sacrificarsi per mettere in sicurezza la centrale di Fukushima. Le corrispondenze nipponiche sono valse a Visetti persino una poco onorevole menzione nel Wall of Shame, che trovate qui

Il metodo di lavoro adottato dal corrispondente di Repubblica sembra sempre lo stesso, anche quando si muove a Pechino: esagerazione e drammatizzazione dei fatti, imprecisioni, inesattezze. Potrei fornire altri esempi, ma ho già scritto troppo, e voglio concludere. Resto a disposizione per chiarimenti, se mi verranno richiesti.

Lettera aperta a “Repubblica”
Probabilmente dopo la pubblicazione di questo post non accadrà nulla. Qualche lettore penserà che si tratta di un post dettato dall’invidia verso un collega molto più blasonato, conosciuto e dotato di mezzi. Una “character assassination”, direbbero i soliti americani. Non ho strumenti per provare la mia buona fede, ma anche se fossi mosso esclusivamente dalla gelosia, e non dall’amore per un mestiere che ritengo debba anche svolgere una funzione sociale, cioè quella di informare il pubblico, penso che l’affaire Visetti possa comunque suscitare delle domande: possibile che a nessuno a Repubblica sia giunta voce dei metodi adottati dal loro corrispondente a Pechino? 

E’ stato fatto qualcosa per porre rimedio? 

E’ legittimo che il corrispondente di un quotidiano che da quando è stato fondato si erge a voce della coscienza nazionale commetta ripetutamente queste gravi scorrettezze?
Giampaolo Visetti è stato richiamato, avvertito, sottoposto a censura dal suo giornale? 

Non mi sembra sia successo niente di tutto questo: farebbe piacere sentire cosa ha da dire il direttore di Repubblica Ezio Mauro; ma d’altronde, come cantava Vasco Rossi, “non siamo mica gli americani”.