mercoledì 26 febbraio 2014

Agente V.: Licenza di Plagio


Sapevamo già che può trasformare il tranquillo sindaco di una città devastata dal terremoto in un superingegnere kamikaze.


Lo avevamo lasciato mentre s’inventava olocausti nucleari capaci di valergli il prestigioso premio internazionale “Muro della vergogna- Fukushima”

Ma adesso Giampaolo Visetti è tornato, e ha un’arma nuova di zecca: la licenza di plagio estesa a qualsiasi media straniero.

Ora, prima di tornare a scrivere su queste pagine a distanza di quasi due anni mi sono posto un problema cruciale: ho davvero qualcosa di nuovo da dire, o questo “Licenza di plagio” sembrerà solamente uno stanco tentativo di sfruttare il successo di pubblico e critica degli altri post? Come farò a rendere il sequel all’altezza dei kolossal precedenti?

La risposta me l’hanno fornita il protagonista indiscusso e il suo desk, che nel segno dell’impunità più totale riescono a inventare metodi sempre nuovi e creativi per massacrare quel poco che resta della fiducia nel mestiere di giornalista: sicuramente prima o poi salteranno fuori foto compromettenti, tipo immagini delle grandi firme di Repubblica impegnate a lanciare nani contro un bersaglio a forma di deontologia mentre Eugenio Scalfari intervista Gesù e scrive le risposte al posto suo, ma per ora dobbiamo accontentarci di quanto già pubblicato.

E vi assicuro che siamo già a livelli altissimi.

Il pezzo da analizzare, stavolta, è uno spettacolare reportage su Dongguan, la capitale cinese del sesso, pubblicato su Repubblica martedì 25 febbraio. (Il link rimanda a Dagospia perché non tutti sono abbonati a Rep.)

Nell’articolo, Visetti si aggira per una Dongguan semideserta, dove la nuova campagna anti-prostituzione scatenata dal governo centrale di Pechino ha imposto a saune e bordelli uno spietato coprifuoco. Il primo personaggio in cui si imbatte è un certo “Ou Yunqui”, presentato come “gestore del più elegante centro benessere di Dongguan”. 

Ciao, organizzo cene eleganti 

Se tralasciamo che “Yunqui” sembra più un nome spagnoleggiante che cinese, ciò che lascia perplessi è l’audacia di un “gestore di centro benessere” che si lascia intervistare con nome e cognome mentre per le strade della sua città la polizia sta arrestando i “gestori di centri benessere”. A una ricerca più approfondita, però, salta fuori che tale “Ou Yunqi” (questo sì un nome cinese) è stato intervistato dal South China Morning Post – il più importante quotidiano di Hong Kong – in data 20 febbraio. Questo Ou Yunqi, però, si rivela il general manager della Dongguan Qile Shangcheng, una ditta che produce “giocattoli per adulti, biancheria intima e preservativi”. Si tratta della stessa persona? Fa il magnaccia dietro la palese copertura di gestore sala benessere o è semplicemente un manager? Ha una doppia vita?


Ciao, in realtà faccio il manager in una fabbrica di vibratori 

Ma non solo i lavoratori dell’industria del sesso, anche quelli del settore immobiliare subiscono la campagna moralizzatrice: prendiamo ad esempio Ye Weijie, che a Repubblica dice di essere un costruttore e racconta di dover riconvertire il suo business. 

Mi chiamo Ye Weijie e sono uno squalo dell'immobiliare


Vuoi vedere che si tratta dello stesso Ye Weijie che, nell’articolo del SCMP di cui sopra, si presenta invece come un semplice agente immobiliare? 

Nah,volevo solo impressionarti: faccio l'agente Tempocasa

E soprattutto: com’è possibile che – in barba a ogni legge probabilistica – in una città di oltre 8 milioni di abitanti Giampaolo Visetti sia andato a intervistare proprio le stesse due persone che hanno rilasciato dichiarazioni ai giornalisti del South China Morning Post, Zhang Hong e He Huifeng?

Largo Fochetti dissipa subito i nostri dubbi, perché qualche riga dopo è di scena la celebre Li Yinhe, studiosa dell’Accademia di Scienze Sociali, sociologa e nota femminista: Li, curiosamente, invece di parlare della sua materia si abbandona a considerazioni economiche alla Loretta Napoleoni, dicendo addirittura che la provincia del Guangdong –la  più industrializzata di tutta la Cina, per intenderci – perderebbe il 2% del PIL se l’industria del sesso fosse costretta a chiudere i battenti. In pratica, secondo le parole che Repubblica attribuisce alla sociologa, dei mille miliardi di dollari di PIL che il Guangdong produce ogni anno, 20 miliardi arrivano dalla prostituzione. 

Industria pesante? Qui il vero business è il pelo!


Nelle dichiarazioni rese al Financial Times Li è molto più prudente, e si limita a una metafora tipo “estinguere un incendio con un bicchiere d’acqua”, che curiosamente riporta anche Repubblica, ma come una voce dal web.

Perché usare una complessa metafora cinese quando puoi metterci il pelo?


Lo stesso pezzo del Financial Times, scritto da Demetri Sevastopulo e Julie Zhu, riporta le dichiarazioni di un altro accademico cinese, Wu Jiaxiang, da sempre a favore della legalizzazione della prostituzione: “L’industria del sesso e il denaro sono come gemelli siamesi”, dice Wu sulla versione cinese di Twitter. Le dichiarazioni di Li e Wu, infatti, scaturiscono da un dibattito nato in rete, ma dato che Repubblica non cita la fonte South China Morning Post – un giornale che ha raccolto dichiarazioni sul campo, a Dongguan-, non si vede per quale ragione dovrebbe fare riferimento ai blog dei due studiosi. 


Tralasciamo i dubbi sul “sondaggio riservato che allarma la leadership” citato da Visetti, secondo il quale “6 cinesi su 10 dormirebbero con uno sconosciuto per denaro”, e superiamo anche il personaggio successivo, Li Sipan, un’antropologa che  nelle dichiarazioni rese al New YorkTimes  in un pezzo del 17 febbraio si limita a inquadrare politicamente la campagna antiprostituzione, mentre con Repubblica si lancia in considerazioni molto audaci sulla ‘deportazione’ di migranti, tanto più scomode se pronunciate da un personaggio pubblico. Tralasciamo anche la dichiarazione da brividi attribuita allo storico Zhang Lifan, che secondo Repubblica paragona la campagna dell’ex presidente Hu Jintao in Tibet a “una guerra”; dichiarazione che suona stonata anche in bocca al più strenuo oppositore del Partito, dato che per ragioni storiche radicatissime non troverete neanche un cinese disposto a negare la sovranità di Pechino sulle aree tibetane. Se lo storico Zhang Lifan avesse detto le stesse parole all’AssociatedPress, che pure lo ha intervistato, probabilmente avrebbe ancora più problemi con la giustizia di quelli che lo funestano al momento. Ma con l’AP, che non condivide “una certa idea del mondo” con Repubblica, si è mantenuto molto più sul vago. Speriamo solo che i funzionari della polizia di Pechino non capiscano l'italiano, perché dopo le parole rivolte a Rep. il professor Zhang potrebbe avere altri problemi. 
E sulla protezione delle fonti in Cina sono serissimo. 

Il vero punto forte del reportage di Visetti, quello in cui il corrispondente di Repubblica raggiunge una vetta insuperata di giornalismo investigativo, sono le considerazioni filosofiche di tale Liang Yaohi, presentato come “gestore di venti karaoke”, che affida al quotidiano italiano la sua visione del mondo su sesso, denaro e Cina. 

Sono Liang Yaohi, faccio il pappone ma studio da opinionista:dici che l'Italia è il Paese giusto per me? 

Visetti deve vantare entrature insuperate nel mondo carcerario cinese, visto che – a meno di un caso di omomimia – l’unico Liang Yaohi coinvolto nella vicenda di Dongguan  in realtà si chiama Liang Yaohui ed è un proprietario di alberghi a cinque stelle tra i primi arrestati della campagna, come riporta sempre il SCMP in un altro articolo.
Sicuramente i responsabili di un sistema penitenziario rilassato come quello cinese non avranno avuto alcun problema a garantire a Visetti l’accesso nel carcere in cui Liang è rinchiuso, né a concedere al prigioniero tutte le liberatorie necessarie per rendere dichiarazioni alla stampa straniera.
Per visitare gli unicorni ripassate settimana prossima: ne abbiamo ordinati tre da Fantasilandia.

Niente, il povero Liang se lo sono già bevuto. 


Alla fine di questa rilettura dell’articolo pubblicato da Repubblica spunta una domanda: il pezzo di Visetti è un reportage dalla metropoli di Dongguan o un reportage dalla funzione Google News del suo browser? Perché, normalmente, per reportage s’intende un pezzo in cui ci si sforza di tirare fuori almeno una o due fonti originali, mentre abbiamo visto che persino nel concedere voce all’uomo della strada Visetti va a beccare gli unici due abitanti di Dongguan che hanno già parlato con il SCMP, come dire che c’erano 2 possibilità su oltre 8 milioni. O non sarà invece che quello che Repubblica spaccia come reportage è solo un miscuglio di altri media, un cocktail in cui si mescolano 2 parti di South China Morning Post, 1 di NYT, e alla fine si serve il tutto? Agli agenti con licenze speciali, tipo quella di plagio, i cocktail piacciono agitati, non mescolati. 

Il dubbio è legittimo perché – al di là dei precedenti che sappiamo –solo il mese scorso, in questo articolo sulla chiusura dei campi da lavoro, Visetti riesce a intervistare due prigionieri appena rilasciati, di nome Jiang Chengfen e Guo Qinghua. 

Jiang Chengfen, colta da Repubblica subito dopo il rilascio


Guo Qinghua:dai cessi al campo di lavoro 


Esattamente gli stessi prigionieri intervistati in esclusiva da Malcolm Moore in un articolo pubblicato alcuni giorni prima sul Telegraph


Jiang Chengfen, intervistata qualche giorno prima dal Telegraph

Il Telegraph ruba un altro scoop a Repubblica avvalendosi della Macchina del Tempo


Delle due l’una: o i prigionieri liberati non avevano molta voglia di tornare a casa e c’era una coda di corrispondenti stranieri per intervistarli lunga giorni, oppure Repubblica potrebbe presto ricevere una chiamata dall’ufficio legale del Telegraph.
E dall'ufficio legale del South China Morning Post.
E dall'ufficio legale di chissà quante altre testate straniere.
Tutto questo, ovviamente, se a livello di autorevolezza internazionale la stampa italiana non fosse già l'equivalente di quel cugino un po' deficiente che ti tocca aiutare  con i numeri durante la tombola di Natale.

Adesso, tutti gli affezionati lettori del quotidiano di Largo Fochetti mi si avventeranno addosso perché sono un monomaniaco che ha deciso di distruggere Visetti e – attraverso Visetti – gettare discredito su un’intera testata; un’argomentazione che suona curiosamente simile a quelle che abbiamo ascoltato per tipo vent’anni da parte di un certo leader politico. 

Ma questa non è “la macchina del fango”, per usare un’espressione talmente banale che Monsieur LaPalice si mette a piangere ogni volta che viene pronunciata.

Giampaolo Visetti è solamente il simbolo di un sistema fondato su veti incrociati, ipocrisie e quella che, da calabrese, posso riconoscere senza ombra di dubbio come una forma di omertà. Se Repubblica lascia indisturbato al suo posto e paga profumatamente un soggetto che tradisce da anni la fiducia dei lettori, se il compito di raccontare l’area economicamente più dinamica del mondo dalle colonne di quello che dovrebbe essere il più autorevole quotidiano d’Italia viene affidato a un individuo che non si è fatto alcuno scrupolo nel raccontare la tragedia di Fukushima come se fosse unvideogame giapponese, allora significa che Repubblica ha un grande problema di meritocrazia o di malafede, e il giornale che sbatte in prima pagina gli intoccabili preferisce chiudere entrambi gli occhi davanti ai suoi scandali interni.

Quando Ezio Mauro presenterà “una certa idea di mondo” dal palco del prossimo Festival delle Idee, guardalo bene: se noti un sorrisetto dietro il cipiglio pensoso, forse è perché sta ridendo di te.

Se vedi lo stesso sorrisetto quando in tv Vittorio Zucconi ti spiega i segreti della vita, forse è perché lui ha già svoltato da anni facendo leva su un malinteso senso di superiorità intellettuale nei tuoi confronti.

E magari è lo stesso identico sorriso del prode vicedirettore Massimo Giannini quando si scaglia contro il marciume della politica.

Finché Carlo Rivolta non risorgerà dal mondo delle ombre per prenderli tutti quanti a  pernacchie.